“Queste cose chi di noi se le sarebbe mai aspettate?” (Lettera a Diogneto, 8.11)
Uno dei documenti più antichi della letteratura cristiana del II, secolo di anonimo autore e scritto in lingua, la Lettera a Diogneto, può aiutarci a riflettere un pò sulla nostra fede. Lascio degli spunti per ulteriori meditazioni personali.

In particolare mi riferisco ai paragrafi 7 – 10 troviamo alcuni interessanti spunti sull’intervento di Dio nella storia umana.
Innanzitutto, Gesù Cristo va ascritto nel progetto di Dio Padre: il mistero dell’Incarnazione è la chiave di volta necessaria per avvicinarsi alla “follia” (amentia) di cui erano impregnati, agli occhi dei contemporanei, i cristiani. È il Logos, divenuto “attingibile”: è creatore (come nei miti eziologici mesopotamici), ma, anche, principio, come nel pensiero dei primi filosofi greci[1].
Qual è la finalità di questo disegno, viene da chiedersi. Al riguardo, l’autore rassicura che non si tratta di “tirannia” (7.3): il disegno che soggiace è di salvezza, ma privo di coercizione, unicamente tramite la forza della “persuasione” (Cristo è stato inviato con “bontà e mitezza”[2]) salvarli, perché “non c’è violenza in Dio”. Questo stile è testimoniato dai cristiani, che “sono gettati in pasto alla belve, affinché rinneghino il Signore, ma non ne sono vinti”[3]: una simile fortezza, agli occhi dell’autore della lettera, è “potenza di Dio” (7.9), a maggior ragione dal momento che “quanto più numerosi sono i cristiani che vengono condannati, tanto più numerosi sono i nuovi cristiani”[4].
Pur provenendo dal mondo giudaico, il cristianesimo si rivolge a tutti gli uomini, in modo universale[5]: una rivelazione che è s-velamento di un “mistero” (8.10), un inatteso inaudito[6].
Emergono due concetti importanti del cristianesimo, da una parte, la divinità come provvidente, al contrario del pensiero greco[7];
dall’altra, la pienezza dei tempi[9]. Proseguendo nella lettura, troviamo poi una delle prime formulazioni della redenzione per grazia, che supera i meriti personali[10]
Al capitolo 9.5, possiamo trovare un’espressione[11] che riecheggia l‘admirabile commercium evocato dalla liturgia[12], richiamando alla Provvidenza di un Dio, signore del tempo e della storia, come più chiaramente emerge al capitolo seguente[13], che, però, non sfrutta la sua signoria per spadroneggiare, ma, al contrario, per prendersi cura dell’uomo, cui compete un posto speciale all’interno del creato[14].
Maddalena Negri
[1] Capitolo 7.2
[2] Capitolo 7.4
[3] Capitolo 7.7
[4] Capitolo 7.8, che fa eco al concetto tertullianeo (Semen est sang()uis christianorum), che testimonia una certa fascinazione dei non cristiani, rispetto all’eterogenesi dei fini di una straordinaria fecondità, legata al sacrificio dei martiri cristiani.
[5] Come evidenzia l’interrogativo del capitolo 8.1: “Quale uomo mai ha avuto conoscenza di ciò che Dio è, prima che egli venisse?”, in cui è possibile rinvenire un riferimento al prologo giovanneo (Gv 1,18), ma anche al discorso di Paolo all’Areopago (At 17, 16-34), in cui l’Incarnazione diventa il volto di un Dio, adorato come ignoto, tramite il culto razionale della filosofia, cui potrebbe riferirsi anche il capitolo 8.5
[6] “Queste cose chi di noi se le sarebbe mai aspettate?” (8.11)
[7] Nello specifico, epicureo
[8] Il riferimento alla doxa è suggerito, in particolare, dalla pericope “È sembrato che non avesse cura, né sollecitudine per noi” (8.10)
[9] Richiamata successivamente, al capitolo 9.2 (“Quando giunse al colmo la nostra ingiustizia”)
[10] “Dopo che avevamo dato prova che con le nostre forze non ci era possibile entrare nel regno di Dio, ne divenissimo capaci per la potenza di Dio” (9.1), rafforzato, più avanti: “E non meravigliarti che un uomo possa divenire imitatore di Dio. Può perché Dio lo vuole” (10.4)
[11] “O dolce scambio, o imperscrutabile operazione, o inattesi benefici”
[12] “Mirabile scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità” (prima Antifona dei Salmi ai Primi e Secondi Vespri del 1° gennaio, di origine medievale)
[13] “Dopo aver dunque dimostrato nel tempo precedente che la nostra natura è incapace di ottenere la vita, dopo aver mostrato nel tempo presente che il Salvatore può salvare anche ciò che non può salvarsi da sé, ha voluto che, in forza dell’uno e dell’altro argomento, noi credessimo nella sua benevolenza, e che lo considerassimo nutritore, padre, maestro, consigliere, medico, intelligenza, luce, onore, gloria, forza, vita e che non ci affannassimo per l’abito o per il cibo” (9.6)
[14] “Dio infatti ha amato gli uomini: per loro ha fatto il mondo, a loro ha sottomesso tutto ciò che è in terra, a loro ha dato la parola, a loro l’intelligenza, a loro solamente ha concesso di guardare in alto verso il cielo, loro ha plasmato a sua immagine, a loro ha mandato il suo Figlio unigenito, a loro ha promesso il Regno dei cieli e lo darà a chi lo ha amato” (10.2)
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