Karate e teologia.2. Spiritualità Cristiana in dialogo con il Niju Kun #karate #teologia #lanternadelcercatore

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Il vuoto come quiete della mente

Il monaco Tannen disse: «L’insegnare soltanto il vuoto mentale non è una cosa convincente. Il non pensare significa pensare rettamente».

(Hagakure, I, 39).

 I Giochi olimpici si svolgevano in onore degli dèi; si trattava, pertanto, di un evento a carattere religioso. Le Olimpiadi moderne, invece, nulla hanno a che vedere con la sfera religiosa. Questo esempio per dire che vi sono al mondo cose che possono essere “desacralizzate”, “laicizzate”.

C’è chi non sarà d’accordo, ma credo che se il M. Funakoshi concepì il Karate per “tutti”, allora è possibile, per un cristiano, epurare l’arte marziale dalla religione, affinché la “via” non implichi per lui qualcosa di sincretico con la fede in Cristo Via, Verità e Vita.

Come è ovvio che sia: niente incensi, o ossequi a spiriti, divinità… niente di tutto questo.

Tra le pratiche orientali di ricerca della quiete della mente vi è lo Zazen. Un cristiano può servirsene come pura tecnica di rilassamento, avulsa da gestualità, verbalità e finalità di tipo buddhiste o altro. Il medesimo discorso vale per determinate pratiche di Qigong, quelle funzionali alla gestione dell’alternanza di duro e morbido. Anche qui, dunque, niente “ritualità”, nel senso religioso del termine, ed evitare quelle forme che diano un sentore di ambiguità.

La mente quieta non è fine a sé stessa, ma funzionale al combattimento.

Ciò è descritto nel diciassettesimo principio, con l’esempio dei versi poetici dello stagno di Hirosawa: Le sue acque /non avevano intenzione di riflettere; / La luna stessa /non aveva intenzione di essere riflessa[1].

Un’increspatura sulla superficie dello stagno di Hirosawa avrebbe potuto frammentare il riflesso della luna in una miriade di immagini. In combattimento, di fronte alla molteplicità (dei segnali), ci si può confondere e alla fine ci si arresta, incapaci di muovere mani e piedi in modo coordinato. […] Soltanto coltivando la quiete della mente essa potrà catturare la luna quando appare, come uno specchio di cristallo pulito, o riflettere un uccello che vola quando passa[2].

Bruce Lee, che era intriso di taoismo, parlava ai suoi allievi del Wu Wei.

Il taoismo insegna che la natura è spontanea e che dunque l’uomo, anch’esso parte della natura, ha bisogno di riconnettersi con quella spontaneità che è, cioè, la parte autentica di sé stesso.

Il cristiano può dire che, dal momento che Dio creò l’esistenza, questa s’auto-gestisce, agisce non intenzionalmente ma secondo dettami o processi, appunto, “naturali”, cioè spontanei. L’uomo, pertanto, non fa eccezione, sebbene sia sempre guidato e aiutato dalla grazia. Ritrovare il contatto con la natura – e quindi con la “nostra” natura, la parte autentica dell’uomo – richiede, in primo luogo, acquisire una consapevolezza. Essere consapevoli di ciò che siamo: animali, sì, ma con qualcosa in più (tutto quel che concerne l’anima intellettiva). Dopodiché si può lavorare su sé stessi.

In questo percorso a ritroso verso la spontaneità possiamo ritrovare l’equilibrio armonioso, compenetrante e fecondo di maschile e femminile. Nel Laozi, infatti, il “vuoto” «rinvia all’immagine di un grembo materno, di un utero inesauribilmente fecondo. […] L’invisibile è, piuttosto, la condizione di possibilità del visibile, così come la pagina bianca è la precondizione delle parole che vi sono tracciate, e rimane lo sfondo che le sottende e le racchiude, in cui esse si rendono leggibili»[3].

Ora, tornando a un tema più tipicamente marziale.

Anche le tecniche devono diventare “spontanee”. Ancora nel commento al diciassettesimo principio è scritto:

«Quando si raggiunge questo livello di consapevolezza non c’è più alcun bisogno di prepararsi mentalmente o di pianificare una risposta agli attacchi dell’avversario. […] La sua risposta è come la scintilla prodotta dall’acciaio quando colpisce la pietra focaia: breve e istantanea come un batter di ciglia»[4].

In un incontro, perché temere l’avversario? Egli ha due braccia e due gambe come noi, non è un essere diverso. Cos’è, dunque, che può fare la differenza? La tecnica e la quiete della mente (il pensare rettamente).

Dice Bruce Lee:

L’esperto di kung fu rimane calmo e tranquillo, e impara a padroneggiare il principio della «non mente» […], che non significa una mente scevra di qualsiasi emozione, né semplicemente una calma o una tranquillità mentale. La calma e la tranquillità sono importanti, ma è la «non prensilità» della mente a costituire in particolare il principio della «non mente». L’esperto di kung fu adopera la mente come uno specchio – non afferra niente, e non rifiuta niente. […] Lascia che la mente pensi ciò che vuole senza l’intervento del pensatore separato o dell’ego dentro di sé. Finché [la mente] pensa ciò che vuole, non c’è sforzo nel lasciarla andare; e la scomparsa dello sforzo di lasciarla andare è precisamente la scomparsa del pensatore separato. Non c’è niente che bisogna provare a fare, perché qualsiasi cosa accada momento per momento è accettata, inclusa la non accettazione. […] «Non mente» vuol dire adoperare la mente tutta come facciamo con gli occhi quando li lasciamo vagare sugli oggetti di una stanza senza osservarne nessuno. […] Perciò la concentrazione nel kung fu non ha il significato abituale di restringere l’attenzione su un singolo oggetto sensibile, ma di una serena consapevolezza di qualsiasi cosa sia qui e ora[5].

Questo discorso si ricollega al sesto principio del Niju Kun – già connesso al diciassettesimo –, «Libera la mente (il cuore)», spiegato con le parole del filosofo cinese Shao Yung: «“Se si lega la mente come un gatto col guinzaglio, essa perderà la sua libertà di movimento. Usate bene la mente, senza lasciarla andare libera ovunque essa voglia, ma senza nemmeno lasciare che si leghi troppo alle cose”»[6].

Possiamo dire a questo punto che, ai fini del benessere psico-fisico (armonia), tale conoscenza legata al buon uso dell’energia, alla gestione della mente, e del corpo nei suoi compenetranti opposti (duro-morbido/pieno-vuoto) che si rifà al concetto taoista di yin e yang, come pure la conoscenza del concetto di Wu Wei, è tranquillamente integrabile per chiunque, cristiani compresi. Fermo restando che, per il cristiano, i criteri siano guidati dalla virtù della prudenza che con San Paolo fa ricordare: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1 Tessalonicesi 5,21).

Rammentiamo poi, a conferma di ciò, le note parole del documento conciliare Nostra aetate, sul rapporto della Chiesa con le altre religioni:

La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini (NA, 2).

Anche se, neanche troppo in “secondo luogo”, per Sensei Funakoshi il “kara” di Karate sia da inquadrare dalla prospettiva buddhista di “vuoto” (ispirato al Sutra del cuore)[7], si può operare un personale processo di filtrazione e poter fare dell’arte marziale uno stile di vita, per questa vita, non certo per l’altra, la cui strada è il Cristo. Per certi versi, quei “raggi di verità” presenti nella dimensione orizzontale del confucianesimo e in quella verticale del taoismo insieme possono sfolgorare alla luce della croce di Cristo.

Concludo con due considerazioni e un pensiero.

Anzitutto, lo studio delle arti marziali può rappresentare il miglior modo per poter esercitare il diritto di legittima difesa garantito anche dal Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 2263-2265); diritto che «può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri», dice il Catechismo (CCC, n. 2265).

Per quanto concerne, invece, il controllo della respirazione, tale pratica è presente anche nella tradizione cristiana: pensiamo all’esicasmo, alla tecnica meditativa della preghiera del cuore risalente ai Padri del deserto (III-IV sec.), resa nota al grande pubblico grazie alla Filocalia e ai Racconti di un pellegrino russo.

Nulla di male, pertanto, a servirsi della gestione del respiro in maniera areligiosa, e anzi, è da caldeggiare per i benefici che apporta a livello psico-fisico. Così come, per fare un esempio, beneficiamo della salubre acqua di Nitrodi, a Ischia, senza più adorare Apollo e le ninfe.

Infine, penso che il cristiano sia chiamato a essere come lo stagno di Hirosawa: le imperfezioni, le mancanze, i peccati che vediamo anche all’interno della Chiesa ci creano increspature interiori. Bisogna lasciarle andare, per riflettere il vero volto di Cristo e della Chiesa da Lui fondata; in fondo – e lo sapevano bene i Padri del deserto –, una mente quieta è funzionale anche al combattimento spirituale.

«Il Karate non si vive solo nel dojo» (ottavo principio), così come la fede non si vive solo in chiesa, anzi…

Tutti i princìpi di Sensei Funakoshi, e alcuni di essi in particolar modo, sottendono l’attitudine della “vigilanza”, essenziale anche per la spiritualità cristiana: «Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Matteo 10,16b); «Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1 Corinzi 10,12); «Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pietro 5,8).

Vigili, come la cinese “tigre che non dorme mai”, che ha ispirato il simbolo dello Shotokan.

Luca Vozza

Appendice

Niju Kun

  1. Non dimenticare che il karate-do comincia e finisce con il saluto (rei).

  2. Nel karate non esiste iniziativa.

  3. Il karate è dalla parte della giustizia.

  4. Conosci prima te stesso, poi gli altri.

  5. Lo spirito viene prima della tecnica.

  6. Libera la mente (il cuore).

  7. La disattenzione è causa di disgrazia.

  8. Il Karate non si vive solo nel dojo.

  9. Il karate si pratica tutta la vita.

  10. Applica il karate a tutte le cose, lì è la sua ineffabile bellezza.

  11. Il karate è come l’acqua calda, occorre riscaldarla costantemente o si raffredda.

  12. Non pensare a vincere, pensa piuttosto a non perdere.

  13. Cambia in funzione del tuo avversario.

  14. Nel combattimento devi saper padroneggiare il Pieno e il Vuoto.

  15. Considera mani e piedi dell’avversario come spade.

  16. Oltre la porta di casa, puoi trovarti di fronte anche un milione di nemici.

  17. La guardia è per i principianti; più avanti si torna alla posizione naturale.

  18. I kata vanno eseguiti correttamente; il combattimento è altra cosa.

  19. Non dimenticare dove occorre usare o non usare la forza, rilassare o contrarre, applicare la lentezza o la velocità, in ogni tecnica.

20. Sii sempre creativo.



[1] Cf. G. Funakoshi, I venti principi del Karate…, p. 95.

[2] Ibid.

[3] A. Crisma, op. cit., pp. 37-38.

[4] G. Funakoshi, I venti principi del Karate…, p. 94.

[5] M. Martino, op. cit., p. 95.

[6] G. Funakoshi, I venti principi del Karate…, p. 48.

[7] Cf. G. Funakoshi, Karate dō…, p. 47.

Foto di refolito rojas da Pixabay

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