Padri, nel deserto #lanternadelcercatore #cronachedelcristianesimo

“[…]allora avrà luogo la grande presentazione, quando ogni cosa sarà riconsegnata a Dio e Padre1. […] Ogni santo, offrendo a Dio i figli che ha salvato, con voce chiara e grande sicurezza, tra lo stupore dei santi angeli e di tutte le potenze celesti, dirà: Ecco, io e i figli che Iddio mi ha dato2 e consegnerà a Dio non solo loro, ma anche se stesso. Allora Dio sarà tutto in tutti34

Se dico “direzione spirituale”?

Se dico “direzione spirituale”, si tratta – per molti – della seconda parola chiave della spiritualità ignaziana (in cui, senz’altro, la prima è “esercizi spirituali”). Sebbene il Ignazio di Loyola (1491 – 1556) abbia rivestito un’importanza basilare nello sviluppo della spiritualità cattolica – e, in particolar di modo, di quella del suo tempo, durante la Controriforma (1545-1648 c.ca) – , non è stato il primo, né l’unico né il solo ad interessarsi alla questione.

Santi “in cordata”

Innanzitutto, risulta impossibile dimenticarsi dell’altro grande santo e carismatico, pressoché contemporaneo del presbitero spagnolo , cioè Francesco di Sales (1567 – 1622). Nell’epistolario con Giovanna Francesca Chantal, abbiamo un esempio di amicizia e di direzione spirituale, che si svolgeva, prevalentemente “da remoto”, diremmo ora – il che, all’epoca, significava tramite lettera, poiché non esisteva Internet e non era, quindi, possibile, collegarsi tramite Skype o Zoom5. La sola santità di entrambi suggerisce come, nel momento in cui essa avviene con un’apertura allo Spirito ed una vita di preghiera da parte di entrambe le persone che sono in relazione di accompagnamento spirituale, essa può diventare un prezioso strumento per una “santità in cordata”: un metodo, cioè, fecondo per entrambi, che arricchisce ed aiuta nel percorso di crescita nello spirito, in ascolto della Parola6.

PRIMA DI IGNAZIO: LA TRADIZIONE MONASTICA

Come attestano le parole di Barsanufio, già secoli prima d’Ignazio, la tematica dell’accompagnamento spirituale era già stata a messo, “per necessità” (formare, diremmo oggi, i neofiti al cambio della quotidianità), dall’esperienza monastica, anche quella più antica.

Si può dire che, da sempre, nella storia della spiritualità, alla ricerca di una progressione, si è guardato qualcun altro. Qualcuno che desse almeno l’impressione di essere più avanti nel cammino e poter – quindi – fornire indicazioni utili: “il linguaggio più audace, consapevolmente trasgressivo degli antichi diceva: padri e madri spirituali7”.

Lo testimonia, del resto, un apoftegma:

Il padre Poemen disse ancora che un tale aveva chiesto una volta al padre Paisio: «Che devo fare alla mia anima che è insensibile e non teme Dio?». L’anziano gli rispose: «Va’, attaccati a un uomo che tema Dio, e nello stargli vicino imparerai anche tu a temere Dio»8

Prima del monachesimo e, in un certo senso, territorio fecondo in cui il monachesimo si innestò possiamo trovare le scuole filosofiche: dai pitagorici ai neoplatonici, si trattava di ambienti con una caratteristica in comune: vi era una guida riconosciuta da tutto il gruppo di discepoli, che, tuttavia, avevano come fine non tanto (o non solo) di imparare dal maestro, quanto, piuttosto, di progredire nella conoscenza.

Possiamo quindi dire che, con l’avvento del cristianesimo (anche se, in parte, in dialogo anche con il giudaismo9) il passaggio avvenuto è stato quello da “maestro di sapienza a maestro di spiritualità”. Anzi, come sottolinea Stroumsa10, si possono vedere le radici della direzione spirituale affondare proprio nei maestri talmudici, dal momento che, dalla distruzione del tempio (71 d.C.) , i sacerdoti ricoprono ormai un ruolo puramente simbolico, al contrario dei primi, che sono ormai considerati gli eredi (ed i continuatori) della profezia d’Israele. Questa è, del resto, l’esperienza vissuta sia da Paolo che dallo stesso Gesù. L’autore si domanda anche se la “cristianizzazione” attuata, nel IV secolo, dai monaci egiziani nei confronti della figura del didaskalos delleetà precedenti, più che ravvisare una diminuzione della dimensione intellettuale, non ipotizzi, piuttosto, una “ pluralità di linee di sviluppo”, pur notando che “la direzione spirituale emerge in modo più evidente laddove prevale il carisma individuale a scapito dell’elemento intellettuale”11. Vi è, inoltre, un maggior coinvolgimento esistenziale del padre spirituale: come spiega Isaia ai propri discepoli, la loro negligenza non sia nociva solo alla loro salvezza, ma anche a quella dello stesso abate, cui verrà chiesto conto della sua inutilità12 (qui potremmo, in un certo senso, vedere, quindi, il “rovescio della medaglia” della visione di Barsanufio!).

Ma, se vogliamo essere onesti, come molte delle scelte monastiche, lo sguardo è rivolto alla Parola di Dio. In questo caso, paradigmatico della figura della guida spirituale, potremmo vedere lo stesso Giovanni Battista, in quanto è lui che indica ai propri discepoli: “Ecco l’agnello di Dio”13. A Giovanni Battista s’ispirano quindi le caratteristiche di chi, in quanto educatore, sa farsi attento alla Parola di Dio, guardando come essa parli al proprio discepolo, aiutandolo ad addentrarsi, ma non sostituendosi, mai, a lui, nel proprio lavoro di ricerca personale di adesione a Cristo.
Un esempio particolarmente lampante può essere – ad esempio – rivenuto nella Prima Lettera ai Corinzi, in cui vediamo sottolineata (e, quasi, rivendicata, la propria generatività spirituale sui Corinzi, da lui condotti a Cristo):

«Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (1Cor 4, 14-15).

L’esempio di Antonio (251-356), dall’esterno e dall’interno

Atanasio (295 – 373) , vescovo di Alessandria d’Egitto, è noto per aver scritto la prima biografia (Vita Antonii), nel 386 circa, per porre ad esempio la biografia di chi oggi è ricordato, liturgicamente, non solo dai cattolici, ma anche dalle confessioni ortodosse, come Antonio abate o “Antonio del deserto”, in quanto ha vissuto nel deserto della Tebaide. Pur emergendo, in alcune parti, l’ideologia “episcopale” di cui è figlio l’autore, in altre emerge come in Antonio si potesse trovare un insegnamento non solo morale o teologico, ma più prettamente “spirituale”. In particolare, Atanasio sottolinea come in lui si possa evidenziare il vero motivo che gli consentiva di fregiarsi del titolo del padre: l’esperienza – grazie alla quale, del resto, aveva acquisito una qualità importante e di difficile apprendimento “didattico”: il discernimento degli spiriti14 –. Abbiamo però, con Antonio, forse per la prima volta, anche l’altra prospettiva, quella di una paternità “interna”, che emerge dalle sue lettere. Egli si rivolge ad una comunità in particolare, per cui si può dire che, coi suoi figli spirituali, condivide un medesimo intento, di cui il padre ha già esperienza: allontanarsi dal mondo, per seguire Dio. In continuità con la Vita Antonii, l’epistolario lascia affiorare grande attenzione alla demonologia e all’estirpazione dei “pensieri negativi” (come troviamo anche negli Apophthegmata Patrum)15.

Le comunità di Pacomio (292-346)

Con le comunità pacomiame (l’autore monastico cui ci rivolgiamo per la prima regola cenobitica arrivata fino a noi), la situazione cambia. Il cenobio presuppone la salvezza come un’esperienza collettiva: ciò comporta una maggiore importanza assegnata al ruolo del superiore della comunità, che ha responsabilità non solo per sé, ma anche per gli altri individui della comunità16 (similmente a come abbiamo visto in precedenza con l’abate Isaia). Le comunità sono viste quasi come corrispettivo del Corpo Mistico della Chiesa, per cui è nella comunità e insieme con ciascun membro di essa che avviene il cammino della salvezza, tanto è vero, che tra i vari comportamenti da seguire, vi è quello di sollecitare il compagno che si attardi in cella e non si svegli (escluso il caso di gravi motivi di salute) per recitare l’Ufficio notturno, lasciando così spazio alla pigrizia: l’omissione di un simile rimprovero è vista come una colpa ascrivibile al confratello monaco, anche se questi si era già svegliato per dire le orazioni 17. Nella Prima vita greca di Pacomio, del resto, emerge fortemente la paternità di Pacomio: da una parte, come per Antonio, vi è un legame particolare, in quanto i destinatari dello scritto in quanto sono figli che «vivono la stessa vita che il loro padre ha aperto e tracciato per loro», dall’altra, «secondo la prospettiva dell’autore, costituisce per la comunità il legame storico e vivente tra tutti i “santi padri”»18. Nella prospettiva antica, del resto, che attinge alla stessa sapienza biblica, il legame con chi ha preceduto (i “padri”) è estremamente rilevante: il Dio Biblico è il Dio “di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”19, cioè il “Dio dei Padri”20. Vi si può scorgere una precisa autocoscienza, che arriva ad accostare una dignità simile alla tradizione apostolica anche per il filone monastico, “anche se non appartengono al clero e non hanno dignità ecclesiastica”, unicamente in quanto “ascoltano il Cristo che è in loro”21.

Madri del deserto

Oltre alla paternità monastica, senz’altro ha avuto luogo anche la maternità. Nel deserto, probabilmente c’erano anche delle donne. Abbiamo poche notizie, ma possiamo facilmente intuire il motivo. È più difficile che una donna vada a vivere, da sola, nel deserto, esposta ai pericoli, a maggior ragione per il legame con la filosofia (da cui le donne erano escluse) delle prime forme monastiche. Ciò è confermato dal fatto che le donne di cui abbiamo notizia da Giovanni Crisostomo22 , probabilmente, non vissero nel deserto profondo: Sarra visse nei pressi di un fiume, mentre Sincletica e Teodora non distante da Alessandria d’Egitto.

Non esiste un corrispettivo femminile per indicare un epiteto onorifico: forse memori di un passo di San Paolo che invita a oltrepassare le differenze, per cercare la comunione23, anche loro erano chiamate “abba” e, anche nel loro caso, erano considerate donne sagge che potessero accompagnare altri. È anche vero che «Sincletica, Melania o Teodora sfuggono alla possibilità di essere comprese entro il nostro schema che prevede maschile e femminile». 24 . Inoltre, considerando che, presso i Padri, il concetto di “virile” non indica strettamente il maschile, ma va ad indicare la «forza, tutta nuova con cui il cristiano vive quotidianamente la Parola di Dio»25, possiamo rifarci al Palladio, quando scrive, nell’Historia Lausiaca che vi sono donne di «virile tempra», «alle quali Dio ha concesso di sostenere battaglie uguali a quelle degli uomini affinché non si possa addurre come pretesto che sono troppo deboli per esercitare perfettamente la virtù»26.

D’altra parte, però, Grün evidenzia che «le donne, quando assistono uomini e donne, fanno da guide in un altro modo e pongono accenti diversi», che identifica, in particolare, in «misericordia e mitezza», ma anche in un’ascesi che presti attenzione particolare al rapporto tra anima e corpo 27.

Per motivi di brevità, segnalo unicamente un episodio legato a Melania: legata d’amicizia con Evagrio Pontico, ne fu sostegno in un momento di difficoltà28, per cui le sarà grato per tutta la vita, tanto da esortarla: «Tu, donna avveduta, sforzati di diventare buon esempio non solo per le donne, ma anche per gli uomini»29.

IN DIALOGO CON LE SCIENZE UMANE

In età contemporanea, il dialogo con le scienze umane si fa inevitabile. Senza scivolare nell’idolatria di un sistema di conoscenze differente da quello biblico, è, però, necessario oltrepassare quell’ingenuità che ci porterebbe ad ignorarne le scoperte e gli studi, sfruttandone, ove utili, le potenzialità.

La relazione di accompagnamento spirituale, infatti, comunque la si intenda, non può che collocarsi nell’alveo di una dinamica complessa, che raggruppa quella tipologia di relazioni subordinate, che vede i primordi nell’ambito familiare. Infatti, «la figura del padre si colloca all’interno della famiglia, luogo dove si incrociano l’ordine biologico e l’ordine culturale, trasmissione della vita attraverso al dualità sessuale e instaurazione di una relazionalità assolutamente privilegiata d’amore fecondo. Per conseguenza della sua duplice appartenenza […], la paternità ha un senso universale e insieme specificato sulla base delle determinazioni socio-culturali e delle personali significazioni che acquisisce per il singolo individuo. Essa assume così anche una valenza normativa che struttura la diversità, il desiderio, la legge, l’amore, la generatività»30.

Naturalmente, la figura del padre spirituale e, più in generale, la paternità (e maternità) spirituale non possono essere, grossolanamente, sovrapposte a quella biologica. Tuttavia, è necessario considerare che «la rappresentazione psichica non è un concetto né un’immagine né un simbolo. La rappresentazione psichica di un oggetto è un insieme organizzato di processi di memoria, governato dal principio economico dell’equilibrio psicodinamico che risulta da un insieme di condizioni, di cui molte sfuggono alla consapevolezza del soggetto ed alcune sono legate ad esperienze “arcaiche” […]. Non si intende escludere le componenti consce, ma sottolineare che queste sono un’emergenza successiva […]. Questo radicamento profondo vale per ogni esperienza umana, e quindi anche per quella religiosa»31. Per tale motivo, è inevitabile che, in tutte le religioni in cui si fa un uso molto ampio delle categorie di padre e madre per descrivere un’esperienza di relazione – ed il cattolicesimo è senz’altro tra queste!32 –, vi sia un’influenza profonda di quella che è la propria personale esperienza di paternità e maternità vissuta con una precisa figura materna o paterna, legata non solo all’infanzia, ma anche al periodo precedente (rilevantissimo, stando agli ultimi studi, ma difficilmente comprensibile a livello razionale è – ad esempio – il periodo della gestazione33).

CONCLUSIONE

In una società, come quella attuale, che non è più neppure possibile descrivere “liquida” come Baumann fece, anni or sono34, perché si è ormai polverizzata ancor di più, riscoprire la paternità (e maternità) spirituali ricoprono un ruolo essenziale, nella vita di ciascuno.
Tante sono, infatti, le vicissitudini che possono escludere quella fisica (dall’incapacità generativa legata a problemi biologici, alla scelta di uno stato di vita che non lo contempli), ma in ogni caso la paternità e maternità spirituali si fanno – a maggior ragione – imprescindibili ove manchi quella fisica e indispensabili dove vi sia.
Da un lato, la maternità e paternità spirituali attestano la piena maturazione psico-affettiva dell’individuo, che si dimostra in grado di assumersi, pienamente, la responsabilità educativa, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Dall’altro, non solo la maternità (il che suona, anche solo biologicamente, più evidente, anche solo per l’allattamento neonatale), ma anche la paternità non può ridursi alla generazione fisica di un nuovo individuo.

Nessuno escluso: perché, in verità, se non tutti sono o saranno padri e madri perché hanno generato la vita, tutti hanno avuto esperienza di una madre e di un padre che li hanno generati, così come sono chiamati ad una paternità (almeno!) spirituale.

Nessun alibi è – quindi – possibile: è inscritto nell’animo umano che, tramite paternità e maternità responsabili, ciascuno è chiamato a realizzare il proprio contributo alla crescita della propria comunità e del mondo intero.

Maddalena Negri


1 1Cor 15, 24
2 Is 8, 18
3 1Cor 15, 28
4 Lettera 118, Epistolario di Barsanufio e Giovanni di Gaza, Città Nuova, 1991
5 Cfr. E. KANCEFF, Lettere di amicizia e direzione spirituale / s. Giovanna di Chantal ; a cura delle Federazioni Nord e Centro Sud dei Monasteri della Visitazione d’Italia, Moncalieri : Centro interuniversitario di ricerche sul Viaggio in Italia, 1996
6 Cfr. sull’argomento: G.ZARRI, Uomini e donne nella direzione spirituale (secc. XIII-XVI), Spoleto : Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2016
7 M.I. ANGELINI, L’uomo psichico e l’uomo spirituale a confronto, in F.G. BRAMBILLA, op. cit., p. 51
8 POEMEN , n.65, in L. MORTARI (a cura di), Vita e detti dei Padri del deserto, Città Nuova, Roma 1997, p. 388
9 Del resto, in età antica, nello specifico, fino al I secolo, le forme di cristianesimo si sviluppano a partire da varie correnti giudaiche, lasciando emergere una certa difformità, andata diminuendo con la progressiva definizione dogmatica, occorsa soprattutto grazie ai primi concili “ecumenici”
10 G. STROUMSA, Dal maestro di saggezza al maestro spirituale in G. FILORAMO, Storia della direzione spirituale, Età antica, vol. 1, Morcelliana, Brescia, 2006
11 G. STROUMSA, op. cit., p. 45
12 ISAIA DI GAZA, Ascetikon, Logos 1
13 Gv 1,29
14 Cfr. A. CAMPLANI, La direzione spirituale nel monachesimo egiziano in G. FILORAMO, op. cit., pp. 223-264
15 Una prospettiva recentemente ripresa anche da F. ROSINI, nel suo recente L’arte della buona battaglia
16 A. CAMPLANI, Ibidem, pp. 250-252
17 F. VECOLI, Le regole pacomiane come fattore di direzione spirituale, in G. FILORAMO, op. cit., pp. 265-279. Per le regole pacomiane, il riferimento è a: A. BOON, Pachomiana latina, Règles ed épitrês de s. Pachôme, épitrês de s. Théodore et «Liber» de s. Orisiesius. Texte latine de s. Jerôme, Peeters, Louvain 1932. Traduzione italia L. Cremaschi, Pacomio e suoi discepoli. Regole e scritti, Qiqajon, Comunità di Bose, 1988
18 PACOMIO, Pacomio, servo di Dio e degli uomini : fonti greche sulla vita di Pacomio e dei suoi discepoli, Qiqajon, Comunità di Bose, 2016
19 Cfr. Mc 12, 18-27
20 Sap 9
21 Vedi nota 84 di p. 108, Pacomio, servo di Dio e degli uomini : fonti greche sulla vita di Pacomio e dei suoi discepoli
22 G. CRISOSTOMO, Commento al vangelo di s. Matteo, Discorso VIII, 4, in G. CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo, Città Nuova, Roma, 1967, pp.135 -136: «Questi sono i miracoli che l’Egitto fa vedere oggi, e non soltanto nelle sue città, ma ancor di più nei suoi deserti. Da ogni parte, nel deserto, si vede l’esercito di Gesù Cristo, un’assemblea, una società e una vita simile a quella degli angeli. E voi vedreste che questo esiste non solo tra gli uomini, ma anche tra le donne. Le donne non hanno qui minor filosofia e vigore degli uomini: vigore non per maneggiare lo scudo né per montare a cavallo […] ma per partecipare ad una battaglia ben più aspra e dura. Esse combattono insieme agli uomini una comune guerra contro il demonio e le potenze delle tenebre. La fragilità del loro sesso non è affatto di impedimento in questi combattimenti. Queste lotte non richiedono la forza del corpo, ma la buona volontà dell’anima. Perciò, molto di sovente, si son viste donne combattere con maggior coraggio e generosità degli uomini e riportare, quindi, le più gloriose vittorie.Il cielo non brilla di tante stelle splendenti quanto il deserto d’Egitto rifulge per l’infinità di monasteri e di luoghi santi che oggi ci presenta»
23 «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28)
24 G. ZIEGLER, Madri del deserto. Eremite del primo cristianesimo, Libreria editrice Vaticana, 2016, p. 10
25 B. CAVARRA, La porta stretta. Ascetismo cristiano e santità femminile in un’antologia tardobizantina, Abbazia di Praglia, Edizioni Scritti Monastici, 2007, pp. 177-180
26 Molto più avanti, nel XIII secolo, il monaco benedettino Isaia scrisse Meterikon (sul modello del Paterikon, che ha a propria volta per modello il Gerontikon, raccolta di massime spirituali), dedicandolo a Teodora, monaca, figlia dell’imperatore di Costantinopoli Isacco II: sulla scorta degli Apophthegmata Patrum (ventotto vite, di cui diciassete declinate al maschile e undici al femminile, ma che in cui troviamo nominate sessantuno donne nominate), raccoglie i detti delle “Madri del deserto” e confessa la fatica nel trovarle e la paura che nessuno abbia mai scritto un libro tanto “femminile”. Tuttavia, l’edizione critica del libro raccomanda una certa prudenza, perché, in alcuni casi, Isaia si è limitato a cambiare al femminile i detti di alcuni uomini del deserto. Un’edizione del Meterikon, in italiano, è: Meterikon : i detti delle madri del deserto, Mondadori 2002, Milano.
27A. GRÜN, Prefazione, in G. ZIEGLER, op.cit.
28 Cfr. G. ZIEGLER, op.cit.,pp. 77-79
29 Citato in G. ZIEGLER, op.cit.,p. 78, da E. PONKTIKOS, Briefe aus der Wüste, Beuroner Kunstvlg (1 gennaio 2013),
pp. 171-173
30 Ibidem, p. 22
31 M. ALETTI, Processi psicologici e accompagnamento spirituale. Specificità e interazioni, in F.G. BRAMBILLA, Accompagnamento spirituale e intervento psicologico: interpretazioni, ed. Glossa, 2008, p. 20
32 Come trattato all’interno dell’articolo, non si può tuttavia dimenticare il radicamento biblico della fede cattolica, per cui, già in 2Sam (libro risalente al VI secolo a.C.) possiamo trovare: “”Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio” (7, 14), riferito al Dio d’Israele.
33 Si veda, a titolo di esempio: O’Connor TG, Monk C, Fitelson EM. Practitioner review: maternal mood in pregnancy and child development–implications for child psychology and psychiatry. J Child Psychol Psychiatry. 2014;55(2):99-111. doi: 10.1111/jcpp.12153. Epub 2013 Oct 16. PMID: 24127722; PMCID: PMC3982916.
34 Z. BAUMANN (trad. Minucci), Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2011


BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

  • G. FILORAMO, Storia della direzione spirituale, v. 1. L’ età antica, Morcelliana, Brescia, 2006
  • L. MORTARI (a cura di), Vita e detti dei padri del deserto, Minima (Città Nuova), Roma, 2008

Non posso non citare chi mi ha dato l’idea iniziale, Cristiana Dobner (OCD) e Luciana Tartaglia (OSB), nel corso del convegno monastico “Solitudine e comunione”, tenutosi a Camaldoli (AR), lo scorso settembre.


Fonte immagine: Egitto.it

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