La teologia come diaconia della Verità nella contemplazione dei divini misteri.

“Alla sera della vita, sarai giudicato sull’amore”. Così il dottore della chiesa carmelitano San Giovanni della Croce esprimeva la sintesi di tutta la vita cristiana. Come insegna il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica “Dio, infinitamente perfetto e beato in se stesso, per un disegno di pura bontà ha liberamente creato l’uomo per renderlo partecipe della sua vita beata. “ (n1) . Tramite l’amore che esprimiamo mediante la virtù teologale della carità possiamo giungere al fine supremo che è la partecipazione alla vita divina, o appunto la santificazione.

In che senso il teologo è chiamato alla missione di amare nella carità e di giungere alla contemplazione del mistero di Dio?

Secondo il padre Antonio Olmi, “la teologia è la scienza ecclesiale della fede nel mistero di Dio”.

Può sembrare una definizione strana: davvero esiste una riflessione razionale sul mistero di Dio? Vediamo.

Essa è una scienza, perché come insegna anche San Tommaso, essa procede da principi conosciuti alla luce di una scienza superiore. La teologia allora si basa su principi che riceve direttamente da Dio esattamente come la scienza ingegneristica riceve i suoi fondamenti dalla matematica (Summa Theologiae, I, q.2, corpus). Essa è dunque scienza e ha in modo speciale un ruolo di chiarificazione: cioè la teologia aiuta a capire i contenuti della fede, nei limiti della stessa comprensibilità umana a proposito del mistero di Dio.  Dunque la teologia è “esplicitazione di tutto ciò che è contenuto virtualmente nella rivelazione” (I, q. 3). È una scienza allo stesso tempo che ha valore anche di esposizione dei contenuti della fede. Ecco allora la sua caratteristica ecclesiale: cioè la teologia studia, approfondisce e così aiuta ad esporre i divini misteri alla comunità ecclesiale. Essa dunque deve vivere in obbedienza alla Chiesa, al servizio di essa e in rispetto della sua missione per la quale è stata istituita da Gesù stesso: cioè propagare il suo messaggio e la sua opera universale di redenzione. (Lumen Gentium 5).

Il teologo allora sarà colui che, obbediente alla Chiesa e al depositum fidei – l’insieme delle verità insegnate da Gesù e trasmesse sino ad oggi – “conserverà il popolo di Dio nella verità che libera e lo renderà luce delle nazioni” (Documento sulla vocazione ecclesiale del teologo, Donum veritatis, 21). Si metterò al servizio del Magistero e potrà vivere la propria missione in una ascesi composta di studio e preghiera costanti con il fine di comporre testi teologici e meditazioni. Questi lavori egli potrà esprimerli in pubbliche catechesi, o insegnamenti della teologia o della religione, o se è chierico anche nelle omelie. In tal senso allora il teologo ama profondamente e anticipa la contemplazione della vita eterna: ama, perché favorisce col suo lavoro l’approfondimento della fede e dunque una maggiore intimità e conoscenza con il Signore. Anticipa poi la contemplazione della vita eterna perché sin da ora il teologo, a stretto contatto con le verità misteriche, può già vivere la dimensione della contemplazione delle verità di Dio, sebbene in maniera imperfetta. Ecco allora che in tal senso la teologia è già una imperfetta partecipazione alla vita divina.

La teologia, se considerata nella giusta prospettiva di diaconia della Verità per il popolo di Dio, non è inutile gioco intellettuale ma vocazione fondamentale a cui chi è chiamato non può fuggire. Perché sarebbe innanzitutto fuggire da sé stessi, e da sé stessi non si fugge neanche se si è Eddy Merckx.

Gesù dolce, Gesù amore

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